lunedì 6 maggio 2013

Rolando furioso

L'intervento all’assemblea provinciale del 3 maggio 2013 del nostro delegato di Circolo Rolando Lucioni (posizione che personalmente condivido)

Il direttivo del Circolo del Partito Democratico di Vedano Olona esprime grande disappunto per le modalità politiche che hanno portato alla candidatura di Franco Marini, alla bocciatura di Romano Prodi, a forzare il Presidente Napolitano nella continuazione del suo mandato, scelte che hanno portato alle nascita del governo Letta in accordo con il PDL, soluzione che poteva essere evitata.
La parola nostra d’ordine della campagna elettorale è stata CAMBIA L’ITALIA. Un chiaro impegno per una politica riformista, progressista e innovativa. Con questa parola d’ordine siamo andati tra la gente, tra i nostri concittadini mettendoci la faccia e la credibilità.
Fin dall’inizio della campagna elettorale avevamo perplessità per l’atteggiamento difensivo del PD nei riguardi dell’incresciosa vicenda del Monte dei Paschi di Siena: si sarebbe dovuto dare un netto segnale di dissociazione dagli avvenimenti, prendendo estremi provvedimenti nei confronti di i dirigenti e degli iscritti al PD coinvolti nella vicenda, con lo scopo di dare un chiaro segnale della moralità e trasparenza del partito. Ora questo governo deve essere limitato nel tempo e finalizzato al raggiungimento di alcuni specifici obiettivi.
La mancata piena vittoria del PD, anzi, data la situazione politica, la sconfitta, alle elezioni, sia politiche che regionali, indubbiamente è stata causata da due gravi errori:
- l’aver permesso, attraverso l’anno di “quarantena” del governo Monti, al centrodestra, a Berlusconi e al PDL di “traghettarsi” fuori dal mare di errori e nefandezze di cui si era macchiato il suo governo, di ripresentarsi agli elettori con la faccia pulita, facendo ricadere le colpe della grave crisi in cui si trova l’Italia su altri (l’Europa, Monti, Merkel, ecc..).
- non aver espresso, attraverso una campagna elettorale più forte e aggressiva, il messaggio del cambiamento che avevamo in testa e nel cuore (forse non tutti), lasciando al movimento 5 stelle e a Grillo la bandiera riformista e progressista che ci appartiene. Il messaggio CAMBIA L’ITALIA doveva essere urlato forte, sia nelle piazze reali, sia, e soprattutto, in quelle virtuali, con convinzione e fermezza, non nella pacatezza di assemblee rivolte solo a noi stessi.
Dopo le elezioni si è continuato negli errori: il movimento 5 stelle, il più logico interlocutore, data la vicinanza non tanto dei programmi, ma della volontà riformista per un’Italia più Etica e giusta, è stato approcciato come si trattasse di un partito classico, trascurando la sua anomala organizzazione, Avremmo invece dovuto ricordare ai suoi parlamentari che erano stati votati non per rappresentare Grillo, ma i propri elettori. Avremmo dovuto parlare ai loro elettori, soprattutto quelli che una volta erano i nostri, a viso aperto, mostrando la nostra volontà riformatrice, chiedendogli di influire sulle scelte dei loro delegati in parlamento. Sarebbe stato l’unico modo di zittire Grillo.
Avremmo dovuto fare questo, sì con la schiena dritta, con la consapevolezza di essere il più grande partito d’Italia, ma anche continuando con determinazione, cercando di rompere il muro di gomma con la forza delle nostre idee e dei nostri valori, fattori che ci differenziano dal centrodestra berlusconiano. Invece è arrivato quello che consideriamo il vero tradimento, quello verso gli elettori e tutti gli organi collegiali del partito, l’autonoma e inadeguata decisione della segreteria di cambiare rotta.
Infatti, la candidatura Marini risulta essere inaccettabile, ovviamente non per le indubbie qualità della persona, ma per le circostanze che l’hanno prodotta. Sino a quel momento un accordo con il PDL non era solo stato escluso dalla direzione nazionale, non solo dalla richieste emerse nella nostra ultima assemblea provinciale, ma anche dal “contratto” che la coalizione “Italia bene comune” aveva preso con i suoi elettori. Chi insiste con l’affermazione “il Presidente della Repubblica doveva essere di tutti” non tiene conto che l’Italia è divisa in tre, che gli altri due terzi sono tra loro incompatibili, che dovevamo scegliere con quale terzo condividere il nome del Presidente, se con quello conservatore e truffaldino, o con quello con il mal di pancia per un’Italia poco giusta.
Chi afferma che “chi entra Papa esce cardinale” non capisce che i nostri militanti, i nostri elettori, gli Italiani, sono stanchi dei giochetti di palazzo, sotterfugi, machiavellici tentativi, ma vogliono trasparenza e rispetto degli impegni presi.
A seguito della bocciatura di Marini, si è consumato il secondo tradimento, quello di chi voleva spingerci a tutti i costi nelle insulse braccia di Berlusconi, cioè l’ignobile voltafaccia a Romano Prodi.
Indubbiamente la candidatura di Prodi è stata gestita in malo modo dalla segreteria, soprattutto nei rapporti con il movimento 5 stelle. Anche qui l’approccio è stato sbagliato e poco tempestivo: sarebbe bastato dire, prima e a viso aperto, ai loro elettori che stavano per scegliere il loro candidato alla Presidenza della Repubblica “votate Prodi e poi insieme rifacciamo l’Italia”.
A seguito della bocciatura di Prodi, si è manifestata l’inadeguatezza della dirigenza del partito nell’ascoltare i propri militanti e i propri elettori, la carenza di comunicazione verticale nella struttura del partito, la mancanza di un sistema organizzato di consultazione costante nel tempo della base (parentesi personale: necessità che personalmente avevo già espresso in passato chiedendo che venisse riqualificato il ruolo fondamentale dell’assemblea provinciale in quanto espressione dei circoli e degli iscritti, mentre si è andati nella direzione opposta, con convocazioni sempre meno frequenti, dibattimenti poco costruttivi e senza votazioni all’ordine del giorno e prese di posizione). Come si può condannare quindi quei parlamentari e quei cittadini che cercano di consultarsi con i blog e i social network, unico anche se inadeguato mezzo di interlocuzione?
Se così fosse stato, se si fossero ascoltati i militanti, i parlamentari e i delegati non sarebbero stati sordi alla domanda “perché no a Rodotà?”. A quel punto hanno vinto gli infami e i traditori, che ci hanno buttato tra le braccia di Berlusconi. Ma non impariamo dai nostri errori? L’esperienza del governo Monti, acceso e spento a piacimento dal caimano, non ci ha insegnato niente? Come possiamo metterci nelle mani di chi, con l’abile arma del populismo e il suo arsenale mediatico, riesce a rigirare la frittata a suo favore? Come non capiamo che, con la forza dei sondaggi, ci ricatterà, userà i meriti del governo Letta a suo favore, dando a noi la colpa degli inevitabili sacrifici che verranno chiesti agli Italiani? E poi? Appena i sondaggi gli daranno la maggioranza anche al senato, alleandosi con la Lega, che intanto fa la parte dell’opposizione, darà un bel calcio a Letta e tutto tornerà come prima.
A questo punto, ancor prima di un indispensabile cambio della dirigenza, serve assolutamente rivedere il rapporto e il dialogo con i cittadini, i metodi di comunicazione tra elettori, circoli, assemblea provinciale, eletti e dirigenza, un sistema di consultazioni aperto, trasparente e neutrale, svincolato dalle correnti, per raccogliere le opinioni dei militanti.
La pluralità democratica nel partito può essere la nostra forza, se linfa della discussione, ma anche le malattia di un partito basato solo su correnti fin troppo personalistiche, un sistema verticale che porta le divisioni fino ai vertici, che uccide la condivisione delle scelte nella base, che favorisce le guerre fratricide a tutti i livelli del partito.
Serve invece un sistema consultivo neutrale, al quale tutti gli eletti e i dirigenti devono sottostare, perché in democrazia essere al potere vuol dire essere al servizio dei cittadini.
Insomma, le logiche organizzative e strutturali che hanno caratterizzato le forze che hanno dato vita, con una fusione a freddo, al PD sono superate e devono essere accantonate.
Sicuramente va rigettata ogni proposta di abolire le primarie, metodo democratico per la scelta della classe dirigente.
È ora che il PD si trasformi in un partito veramente Democratico, che lo sia in chiave moderna, consapevole delle evoluzioni sociali che hanno stravolto il nostro paese. La vecchia dirigenza, proprio per la sua appartenenza al superato sistema partito, si faccia da parte.