domenica 13 giugno 2010

Dalla libertà d'impresa all'autorità d'impresa?

Diciamolo chiaro: la proposta di accordo fatta da Sergio Marchionne ai lavoratori di Pomigliano pare più un diktat. E ci spiace soprattutto che questo fatto crei un'ulteriore frattura nel mondo sindacale.
Capiamo benissimo che le aziende in in sistema come il nostro non possono competere con quelle di altri Paesi (dell'Est europeo e dell'Estremo Oriente, per intenderci). Però è anche vero che in quei Paesi regole e diritti non esistono.
E' giusto chiedere più misure per contrastare l'assenteismo: la FIAT ha tutti i diritti a essere tutelata dove in passato è stata effettivamente defraudata. Ma, se fosse vero, lascia davvero perplessi ed appare una forzatura vedere considerato lo sciopero come motivo di assenteismo: il lavoratore deve ottemperare sicuramente a dei doveri, ma devono essergli riconosciuti anche i suoi diritti. E tra questi, vi è quello dello sciopero (art. 40 della Costituzione Italiana).
Il "prendere o lasciare" di Marchionne ci piace poco: anche perché lui stesso è alla guida di un'azienda che dall'Italia ha più preso che dato, tra incentivi e fondi per cassa integrazione.
Forse sarebbe più opportuno comportarsi da VERI manager e da imprenditori CAPACI, e puntare non tanto al profitto, quanto allo sviluppo.
La verità è che invece di convertire quei Paesi in cui non ci sono regole che tutelano lavoratori e consumatori, si vuole seguire appunto quei modelli di autoritarismo imposto dalle imprese. E le dichiarazioni di oggi del ministro Tremonti ancora sull'articolo 41 non fanno che confermare i nostri timori: si propone un'autocertificazione, con controlli ex-post, ma con il riconoscimento della buona fede. In pratica, se avvenissero dei controlli (perché poi devono avvenire), chiunque potrebbe dichiarasi in buona fede e farla franca. Ci chiediamo, facendo esempi forzati, se questo provvedimento fosse in atto, fino a che punto sarebbe ritenuta responsabile un'azienda come la BP se facesse all'Adriatico ciò che ha fatto nel Golfo del Messico? Oppure, sarebbero perseguibili aziende che aumentassero il proprio capitale sociale con denaro di dubbia provenienza?
Il problema non è il labirinto di leggi, ma come queste vengono amministrate dalle P.A.: lo snellimento della burocrazia, liberando le imprese dai mille lacci e lacciuoli che le soffocano, va bene, ma capisaldi legati a diritti della persona, sicurezza, ambiente e trasparenza non vanno assolutamente cancellati. Rivediamo piuttosto il peso fiscale ed i costi dei servizi, rendendoli magari più efficienti (ad esempio, a quando la banda larga in tutta Italia?). E, per una buona volta, diamo sostegno alle PMI, con agevolazioni ai finanziamenti e incentivi a ricerca e sviluppo.
Governo e Confindustria ripensino i loro obiettivi, perché da una nazione come l'Italia situata in Europa, rischieremmo di trovarci a "Berlusconia", paese del Terzo Mondo: senza democrazia, senza giustizia sociale, senza crescita e senza futuro.
Libertà d'impresa sì, ma rispettando leggi e diritti: il mercato non deve essere dei più furbi, ma di chi è più capace. Abbiamo visto cosa ha portato la deregulation nel mondo finanziario: vogliamo che accada lo stesso anche nell'economia reale?
E il PD su questo dovrebbe chiedere chiarezza da subito ed assumere successivamente una posizione precisa.