sabato 13 settembre 2008

La cordata

Per Alitalia non c'è via di scampo. Si addensano nubi nere. Prendere o lasciare.
E le notizie che arrivano dalle trattative in corso tra sindacati, governo e CAI (la nuova società frutto della cordata di imprenditori), non sono affatto positive, e fanno presagire l'epilogo naturale della storia tragica di questa azienda: il fallimento.
Ma come si è giunti a questa situazione? Sarebbe limitativo addossare tutte le colpe all'attuale governo. Certo, Berlusconi ci ha messo del suo in campagna elettorale per far fallire la trattativa con Air France.
Ma nel fallimento di quella trattativa, secondo me hanno maggiori responsabilità i sindacati, quando si ritirarono dal tavolo delle trattative con Air France. Chissà quale alternativa si aspettavano!
E' vero che Air France avrebbe lasciato a casa lavoratori in esubero, ma comunque in numero inferiore a quello indicato ora dalla CAI.
E' anche vero che Air France col suo piano industriale avrebbe delocalizzato le rotte internazionali a favore dell'hub di Parigi (che è comunque un vero hub, altro che Malpensa o Fiumicino!), per cui i viaggiatori italiani che intendevano spostarsi in aereo con voli intercontinentali avrebbero dovuto partire dall'Italia per far scalo a Parigi e da lì ripartire per la destinazione finale.
Però questo avviene già da tempo: quanti che hanno intrapreso un viaggio per l'America del Nord, la Cina o l'India hanno trovato più comodo (ed economico!) farlo passando attraverso gli aeroporti di Parigi, Francoforte o Londra? Di sicuro con la vendita ad Air France si sarebbe trovato un acquirente disposto a pagare per accollarsi anche i debiti (che invece con la soluzione del governo dovremo pagare noi contribuenti - almeno 100 euro a testa-).
Mentre ora, la stessa Air France ha buone possibilità di essere il partner estero (senza il quale la nuova compagnia non potrebbe esistere) e quindi potrebbe comandare dal punto di vista strategico per cinque anni, perché avrebbe in mano le chiavi dell'estero e quindi il controllo fra cinque anni (per cui andrebbe anche a farsi benedire l'italianità della compagnia di bandiera invocata dal governo...).
Cinque anni che, ricordo, dovrebbero corrispondere al periodo di vincolo che impedisce ai soci privati di CAI di vendere azioni della nuova compagnia.
Dovrebbero: uso il condizionale perché questo "vincolo" non si comprende se sia reale o no. E' parte di un patto tra soci (che essi potrebbero di comune accordo modificare)? E' una semplice dichiarazione di intenti? Se tale vincolo esiste veramente, dove è scritto: nello statuto societario, nei patti parasociali? E cosa succede se qualcuno ignora il vincolo e vende prima della scadenza?
Insomma, ci sono alcune ombre su cui converrebbe fin da subito fare chiarezza.
In ogni caso, gli errori commessi non sono una storia solo di questi giorni. La tragedia di Alitalia parte da lontano: la compagnia aerea è stata fin dalla sua nascita l'esempio classico di malaffare della politica italiana, uno strumento che i suoi esponenti hanno sfruttato per soddisfare in particolare le loro esigenze clientelari, collocando sulle poltrone i loro uomini di fiducia ed i loro protetti. Facendo assumere gente anche quando non ve n'era la necessità e soprattutto la copertura economica.
Una pratica a cui non è sfuggito nessun partito e nessuna organizzazione sindacale e di categoria: anche la Lega (che addossa le colpe alla solita "Roma ladrona") è riuscita a piazzare il suo Giuseppe Bonomi alla presidenza di Alitalia...
E non parliamo poi di tutte le volte che aerei e aeroporti Alitalia sono stati usati come "mezzi personali" da questo o quel ministro (con costi a carico dell'azienda e di tutta la collettività!)!
Così ora siamo alla stretta finale: ma che si prenda o si lasci, perderemo comunque (tranne i soliti noti).
Per un approfondimento sugli sprechi di Alitalia, segnalo un articolo di Sergio Rizzo, pubblicato sul Corriere della Sera il 12 settembre.
Qui invece trovate degli ulteriori chiarimenti (con cifre) sulla vicenda Alitalia-CAI, pubblicati da Carlo Scarpa, professore ordinario di Economia Politica presso l'Università di Brescia e redattore de lavoce.info